La complicazione legislativa italiana sta raggiungendo livelli inimmaginabili anche per i più pessimisti.
In questa direzione l’obbligo di eseguire una valutazione della congruità dei costi, per tutti gli interventi che godono di detrazioni fiscali, è la dimostrazione della impostazione dirigista del nostro Parlamento e della scarsa conoscenza di come funziona il (libero) mercato.
Primo esempio: l’allegato I del Decreto MiSE 6 agosto 2020 (Decreto requisiti tecnici) fissa il costo massimo ammissibile per alcuni tipici interventi di risparmio energetico; questo allegato è destinato, principalmente, agli interventi più semplici per i quali la valutazione della congruità è eseguita dallo stesso installatore o dal costruttore dell’apparecchio.
Qui la tabella dell’allegato I comincia a fare acqua fin già dal titolo e dalle spiegazioni di utilizzazione; nell’intestazione della tabella è scritto:
Spesa specifica onnicomprensiva massima ammissibile della detrazione per tipologia di intervento.
e in calce, nelle note, è invece riportato:
I costi riportati si considerano al netto di IVA, prestazioni professionali e opere complementari relative alla installazione e alla messa in opera delle tecnologie.
Il comune mortale ha seria difficoltà a comprendere la lingua italiana che utilizza il nostro legislatore: una spesa specifica onnicomprensiva che però onnicomprensiva non è perché non comprende l’IVA, le prestazioni professionali e opere complementari … e la messa in opera delle tecnologie.
Chi ha scritto la parte iniziale della tabella I non ha parlato con chi ha scritto la parte finale della stessa tabella; o, forse, i due estensori appartengono a due partiti politici diversi con difficoltà di comunicazione tra loro?
Ma ancora peggiore è la sostanza della tabella; prendiamo una delle voci presenti, quella che indica un costo ammissibile di 200 euro/kW per una caldaia autonoma a gas a condensazione (Pu <= 35 kW). Questo implica un costo ammissibile per una caldaia autonoma a gas, con potenza utile di 30 kW, di 200 euro/kW x 30 kW = 6.000 euro. Cioè tra due e tre volte il costo reale dell’intervento come qualunque professionista o ditta seria potranno confermare rileggendo i preventivi dei lavori redatti prima dell’era COVID/superbonus.
E se immaginiamo di essere nella ipotesi che non si tratti di un costo onnicomprensivo, a tale importo di 6.000 euro si dovranno aggiungere l’IVA, le prestazioni professionali, le opere complementari (per esempio lo scarico della condensa della caldaia in fogna, l’adeguamento per il camino che dovrà funzionare in pressione e con condensa, il trattamento chimico fisico dell’acqua del circuito, il lavaggio chimico del vecchio impianto, il collegamento elettrico, etc.) e la messa in opera.
In questo modo si raggiungono costi dell’intervento stratosferici, lontanissimi dalla realtà, che permettono guadagni elevatissimi agli operatori e uno spreco di risorse pubbliche incredibile (a seconda dei casi lo stato ci mette tra il 50 % ed il 110 % dell’importo dell’intervento).
E queste cose le scrivono anche i giornalisti più attenti senza però che nulla cambi (si legga per esempio, M. Gabanelli, Gli ecobonus, giungla dei prezzi, Corriere della sera, del 5 luglio 2021).
Anzi la soluzione proposta dal Parlamento, nel Decreto Legge dell’11 novembre 2021, è di avere, tra qualche mese, un decreto del MTE che fissi con maggiore dettaglio i costi massimi degli interventi; questo finirà per essere una pezza peggiore del buco: fissato il costo massimo dell’intervento l’operatore “smaliziato” proporrà solo preventivi con importo appena inferiore (anche 1 solo euro minore!) al costo massimo ammissibile che sarà previsto.
E sarà formalmente incontestabile la sua valutazione di congruità. Per legge. Legge stupida però.
Come scriveva Einaudi: non esiste il prezzo giusto esiste il prezzo di mercato.
Fa davvero sorridere che si parli sempre di semplificazione, che si affermi, un giorno sì e l’altro pure, che il PNRR ha bisogno di regole semplici e chiare e poi ci si muova in questo modo sul terreno delle cose concrete.
Suggerimento personale: si costringa chi scrive le leggi a leggere il capitolo su come funziona un mercato in L. Einaudi, Lezioni di politica sociale, e poi il capitolo XII dei Promessi sposi di A. Manzoni, con i disastri provocati dal tentativo di fissare per legge il prezzo del pane e anche (qui esagero davvero con i nostri parlamentari e burocrati ministeriali) M. Friedman, Liberi di scegliere.
E per gli impianti più articolati e complessi?
Qui la legge (Allegato A, del Decreto MiSE 6 agosto 2020) dice che il professionista tecnico deve fare riferimento, obbligatoriamente, ai prezzari predisposti dalle regioni per i lavori pubblici oppure, in alternativa, ai prezzari pubblicati da una casa editrice privata, la DEI – Tipografia del Genio Civile, specializzata in questo campo ( e baciata dalla fortuna della scelta legislativa di essere citata come unico riferimento possibile; ricordo che i prezzari DEI consistono in almeno sei volumi e che i volumi vengono aggiornati due volte l’anno con i conseguenti elevatissimi costi di acquisto e aggiornamento).
Prima stranezza: fare riferimento a prezzari destinati ai lavori pubblici ed utilizzare queste informazioni per i lavori privati. I lavori pubblici e privati, in Italia, non sono proprio la stessa cosa e seguono criteri e regole molto diversi, come possono avere gli stessi costi?
Seconda stranezza: quasi tutto ciò che l’industria produce oggi di sofisticato e moderno, per risparmiare energia, non è compreso nelle voci dei prezzari regionali.
Terza stranezza: quanto più un lavoro di progettazione sarà ben fatto, accurato e al passo coi tempi tanto meno informazioni si troveranno nei prezzari e, quindi, più si penalizzerà chi introduce innovazioni negli impianti costringendolo ad un penoso e lungo lavoro di ricerca di voci di prezzario pseudo equivalenti o a creare un proprio prezzario per ogni impianto progettato elaborando tutte le analisi delle voci di costo necessarie per avere voci di prezzario utilizzabili. Detto in altre parole, provvedimenti di legge che hanno la finalità di ammodernare gli impianti, fare utilizzare e diffondere le nuove tecnologie ed apparecchiature disponibili, così da consentire significativi risparmi di energia, obbligano poi a fare riferimento a prezzari nei quali tutto quanto di moderno sarebbe necessario non è presente mentre sono ben riportate tutte le tecnologie obsolete che si vogliono eliminare dai nostri edifici.
Tutto lavoro, quindi, sostanzialmente inutile, che richiede molto tempo e a fini solo burocratici: e chi potrà dire che un importo, elaborato su analisi prezzi di tecnologie innovative dallo stesso progettista, non è congruo? Ragionevolmente nessuno. Quindi lavoro inutile se la progettazione è seria e vincolo risibile per chi vuole fare il furbo.
Passiamo ad un esempio pratico, per chiarire la situazione che si ha utilizzando il prezzario della regione di competenza.
Immaginiamo di volere stimare il costo di FORNITURA IN OPERA riferito alla ristrutturazione di una centrale termica per un impianto di riscaldamento centralizzato installando una caldaia a condensazione a gas metano, con potenza nominale (utile, 80/60 °C) di circa 371 kW (tipicamente, a Roma, un condominio di circa 40/50 appartamenti) e potenza termica del focolare di 377 kW.
Riferimento, quindi, il prezzario della Regione Lazio, versione 2020, capitolo Impianti tecnologici (BURL n. 150, del 19 dicembre 2020; si può scaricare il prezzario dal sito della regione).
A pagina III del prezzario, nelle Avvertenze generali – Obiettivi ed ambito di applicazione, è scritto in chiaro che I prezzi si riferiscono a lavori pubblici. Quindi l’obbligo sancito dal Decreto MiSE 6 agosto 2020 di riferirsi a questo prezzario, per i lavori privati che godono di detrazioni fiscali, è in contraddizione (formale, logica e sostanziale) con lo scopo ufficiale dichiarato dal prezzario stesso.
Sappiamo che per le direttive UE, recepite in Italia da anni, una caldaia con potenza nominale di 371 kW deve, obbligatoriamente, essere del tipo a condensazione.
Nel prezzario della Regione Lazio la fornitura in opera di una centrale termica a gas è prevista solo nelle due voci E 1.01.13 (pagina 578, per potenza utile minore di 350 kW) ed E 1.01.14 (pagina 580, per potenza utile tra 350 e 3.000 kW): queste voci si riferiscono alle caratteristiche del locale idoneo ad essere utilizzato per una centrale termica a gas ed alle caratteristiche tecniche che devono possedere alcune parti di supporto dell’impianto di riscaldamento.
Vediamo più in dettaglio la voce E 1.01.14:
- il riferimento normativo utilizzato, la circolare del MI n. 68 del 25 novembre 1969, non è più valido da circa 25 anni; esso è stato sostituito prima dal DM 12 /4/1996 e poi dal DM 8/11/2019;
- il rendimento minimo ammissibile della caldaia citato, 84 + 2 Log Pn, non è quello corretto;
- la norma tecnica citata per il bruciatore ad aria soffiata, la UNI 8042, è stata ritirata dall’UNI nel 1998, cioè 23 anni fa;
- la norma tecnica citata per il camino, la UNI 9615, è stata ritirata nel 2006, cioè 15 anni fa;
- il riferimento ai dispositivi di protezione e sicurezza cita l’ISPESL come ente di competenza; peccato che l’ISPESL sia stato chiuso e sostituito, dal 2010 quindi 11 anni fa, dall’INAIL;
- nella parte generale sugli impianti termici (pagina 566) si cita la necessità di rispettare la Legge 46/90; peccato che tale legge sia stata sostituita, nel 2008 cioè 13 anni fa, dal DM 37/08.
Dopo aver visto una delle due voci sul locale centrale termica proviamo a vedere le voci sulla caldaia a condensazione, con Pn di 371 kW.
Ci spostiamo al capitolo E1.03 Generatori di calore del prezzario (pagina 587).
Bene, anzi malissimo: non esiste, nel prezzario, alcuna voce che faccia riferimento ad una caldaia a condensazione. Incredibile ma è così.
Quello che stiamo illustrando, per alcune voci degli impianti termici di riscaldamento centralizzati, e cioè la completa inutilità di questo prezzario, è analogamente vero anche per quasi tutte le altre voci del prezzario riferite ad altri tipi di impianti.
Per esempio, a pagina 597, i gruppi refrigeratori d’aria utilizzano fluido refrigerante R22; le decisioni di Montreal, l’accordo di Kyoto, la normativa F-Gas europea ed italiana, il divieto d’uso dei CFC e degli HCFC, i nuovi fluidi refrigeranti naturali, gli HFO e l’uso di idrocarburi come refrigeranti, sono tutti fatti che il prezzario non conosce e non prende in considerazione.
In pratica la gran parte delle informazioni presenti nel prezzario sono sbagliate oppure non aggiornate da decenni oppure propongono soluzioni tecniche che sono obsolete e spesso, addirittura, vietate dalle leggi attuali (si pensi alla mancanza delle caldaie a condensazione nel prezzario, alla presenza di centrali termiche per riscaldamento ad olio combustibile, all’uso di refrigeranti vietati nei condizionatori, etc.).
Concludo: l’obbligo di legge di riferirsi al prezzario della regione è una vera assurdità, utile solo per dare al burocrate di turno la sensazione di avere creato un geometrico, onnicomprensivo e razionale sistema di controllo asfissiante dell’operato degli addetti ai lavori.
Il professionista tecnico non può che interpretare tale obbligo come una ennesima, inutile procedura burocratica, priva di qualunque reale significato e valore concreto e che costringerà a perdere un sacco di tempo che potrebbe essere molto meglio utilizzato.
Gli informatici citano spesso un aforisma che recita: garbage in, garbage out; se fornisco ad un programma di calcolo immondizia (dati sbagliati in ingresso) avrò immondizia anche in uscita (risultati sbagliati).
Utilizzando il prezzario della Regione Lazio si applica appieno questo proverbio.
Nota. Chi scrive vive e lavora a Roma e, quindi, il riferimento al prezzario della Regione Lazio è conseguente; e chi scrive confessa di non avere diretta conoscenza degli altri diciannove prezzari regionali. Per sua fortuna.